04 Gen I Maestri della fotografia di Jazz – Guy Le Querrec
“Giant step”: sulle orme di un “gigante”
Prendiamo in prestito il titolo di un notissimo lavoro di John Coltrane per introdurre un grande fotografo francese tutt’ora in attività che, dagli anni 60, immortala l’evoluzione ed i protagonisti del Jazz: Guy Le Querrec.
Parigino, classe 1941, inizia la sua carriera come fotografo professionista nel 1967 all’interno di un’agenzia di pubblicità ma è a distanza di due anni che rivela sua vocazione al reportage: nel 1969 diviene, infatti, reporter e responsabile dei servizi fotografici per conto del settimanale “Jeune Afrique” il quale lo invierà regolarmente nell’Africa francofona e nel Maghreb per i due anni successivi.
L’attitudine e le capacità che dimostra nel documentare la realtà attraverso lo strumento fotografico, ovunque egli si venga a trovare, gli valgono l’ingresso alla Magnum nel 1976 e l’assunzione a socio della stessa nel 1977.
Questi primi tratti biografici sono già utili ad inquadrare la tipologia di immagini che Guy Le Querrec ci restituirà dal suo viaggio attraverso il Jazz. La sua prima fotografia a tema musicale risale al 1958: i Brian Woolley’s Jazzmen, giovane ensemble britannico, sono immortalati nell’atto di scaricare gli strumenti dall’auto in vista dello show presso un pub londinese. A partire da quel primo scatto, una sorta di piccolo, premonitore manifesto programmatico, Guy Le Querrec ha affrontato le decadi successive tratteggiando il “mestiere” del jazz fatto non solo di palchi e riflettori ma anche, e forse soprattutto, di ciò che gli sta intorno. Guy Le Querrec ha letteralmente descritto la vita che si fa musica e la musica che si fa vita: da bravo reportagista, non ha mancato di fissare ogni sensazione ed ogni aspetto un universo reale, eterogeneo e poetico come il jazz gli porgeva davanti. Attraverso le sue lenti, il jazz è la concentrazione di Nina Simone che ascolta un sound-check dalla deserta platea di un teatro, lo sguardo assorto di Ben Webster carico di pensieri all’interno del suo camerino, è un impegnato Charles Mingus davanti alla complessità di dieci pagine di spartito, è il poetico sollevarsi di una tenda durante una improvvisata session del duo Texier-Scalvi in una camera d’albergo, è l’ironico effetto di specchi e prospettive che gioca con la Mike Westbrook Orchestra in sala prove, è il chiassoso divertimento di Lionel Hampton e del cuoco Jaques Maximin che, in un momento di relax, giocano a fare i percussionisti con le pentole nella cucina di un hotel.
Potremmo sintetizzare come, se Herman Leonard aveva creato “il sogno del jazz” fatto di miti e palchi senza tempo, Guy Le Querrec ci porta dietro quegli stessi palchi e così vicino a quegli stessi miti da svelarne le gioie, le fatiche e l’impegno, comuni ad ogni altra vita intensa e reale, senza sminuirne la grandezza bensì arricchendone il profilo con dettagli e sfumature.
Anche le scelte tecniche contribuiscono a portare la vita e le vite del Jazz su un piano di massima empatia e condivisione: innanzitutto gli scatti di Guy Le Querrec sono in bianco/nero, cosa che li pone in una condizione di “istantaneità” e veridicità tipiche del taglio giornalistico. Sono realizzati prevalentemente con focali corte (35 mm – 50 mm) che, come si sa, sono connotate da una prospettiva equilibrata e da una buona tridimensionalità: in questo modo l’osservatore si sente “entrare” nell’inquadratura, fare parte della situazione fino a provare ciò che il soggetto dello scatto sta realmente vivendo in quell’istante. La scelta di questi obbiettivi, inoltre, contribuisce a sfocature graduali che non isolano mai drasticamente il protagonista, favorendo una fotografia “corale” ed articolata nella composizione, senza mai rischiare la “confusione”.
Termino questa mia breve analisi consigliando i suoi volumi “Jazz – Light & Day” e “Jazz de J à ZZ” che sapranno esprimere l’estro di questo artista molto meglio delle mie parole ed invito anche ad approfondire i suoi lavori non strettamente legati alla musica: se è stato accolto come socio nella più famosa agenzia fotografica del mondo a 36 anni, ci sarà un perché…
P.S. Un “grazie” sincero all’amico Luca d’Agostino che me lo ha fatto scoprire!
|
||
|
|
|